Il Centrafrica alle prese con il COVID-19

Il Centrafrica alle prese con il COVID-19

Pubblichiamo la lettera inviata da padre Beniamino Gusmeroli, dalla missione di Bimbo, alle porte della capitale Bangui sulla situazione attuale del paese africano alle prese con l’emergenza sanitaria causata dalla pandemia del Covid-19

Bangui, 5 giugno 2020   

La Repubblica Centroafricana come tutto il resto del mondo non è risparmiata dal contagio del virus COVID 19. Siamo ad oggi 5 giugno 2020 a quota circa mille e seicento contagi ufficiali. Un numero abbastanza esiguo rispetto al resto dei paesi sia africani sia di altri continenti.
Quello che rende particolare il caso dell’Africa e in modo particolare della Repubblica Centroafricana è il modo in cui la pandemia viene affrontata, sia a livello ufficiale sia a livello di coscienza della popolazione. I primi casi sono stati registrati intorno alla metà di maggio.
Il Centraafrica è un paese isolato, non ha sbocchi sul mare e il virus è stato introdotto nel paese dai camionisti trasportatori provenienti dal Cameroon, che una volta giunti  a Bangui la capitale prendevano alloggio nei quartieri e di là ha avuto inizio la diffusione.
Nello stesso tempo il governo si è messo all’opera per fronteggiare l’emergenza: L’OMS e il ministero della sanità ha stilato un programma con relative barriere di protezione, tra cui un controllo più stretto alle frontiere, chiusura delle chiese e dei luoghi di ritrovo pubblici, così come delle scuole.
Test di controllo vengono effettuati all’entrata della capitale.
L’unico centro abilitato per le analisi dei test è l’ “Institut Pasteur” della capitale.
Anche le attività commerciali presenti non solo a Bangui ma in tutto il paese, hanno avuto ripercusioni.
I controlli alle frontiere non sono molto stretti e allo stesso tempo sono facilmente evitabili.
Oltre agli autisti dei camion, un gran numero di camioncini, auto e moto passano la frontiera con il Cameroon, e questi evitano facilmente la zona dei test passando per strade secondarie; questo porta a confermare che l’adozione della chiusura delle frontiere non ha dato i risultati sperati.
I camion continuano a viaggiare e per raggiungere Bangui devono percorrere circa seicento chilometri, passando per città e villaggi. Il percorso dura diversi giorni visto anche lo stato delle strade. Questo ha portato con sè la facilità della diffusione del virus anche in alcune zone remote.
Altro fattore che ha favorito la diffusione è la modalità in cui vengono effettuati i test.
Una volta fatto il test infatti, la persona dopo aver lasciato un recapito torna alla sua dimora, alle sue relazioni, al suo lavoro e dopo ventun giorni se è risultato positivo, gli viene comunicato e dovrebbe (condizionale d’obbligo) recarsi all’ “Institut Pasteur”.
Immaginiamoci come sia possibile per una persona che ha i sintomi o è risultata positiva al test cosi tanti chilometri  per curarsi.
Nel frattempo il ministero della sanità continua a diramare comunicati di allarme tramite le onde radio nazionali.
Ma la popolazione come ha preso la questione del visus?
Le notizie di quanto succede nel mondo sulla pandemia del COVID 19 giungono via radio e televisione anche qui.
Le notizie di infettati e deceduti dei paesi vicini, dell’Africa e dei paesi più toccati dal virus, compresa l’Italia sono conosciute anche qui ora.
Contrariamente a quanto succede in altri paesi però in pratica la vita sociale non ha subito nessuna variazione; questo per differenti fattori:
1) Non esiste nessun tipo di distanziamenti
2) Mercati, piccoli e grandi, sono rimasti sempre aperti
3) Di protezioni individuali come le mascherine, nemmeno a parlarne.
Qui il ritmo della vita sociale ed economica è particolare; per la stragrande maggioranza della popolazione è necessario recarsi al mercato dei quartieri superaffollati e acquistare o vendere giornalmente la poca quantità di prodotti agricoli provenienti dai campi o da portare a casa da cucinare.
Inoltre la giornata non si trascorre all’interno delle case, ma all’aperto, nelle strade, nei mercati.
Inoltre nei quartieri, praticamente in ogni cortile si sono sviluppati dei mercatini di medicinali “fai da te”, a base di erbe, scorza di alberi, radici e foglie particolari.
La maggior parte della popolazione assume questi intrugli quasi quotidianamente e si sente al sicuro.
Le direttive del governo in vista di una limitazione della propagazione del virus non hanno ottenuto nessun impatto. Durante i primi periodi sono state dislocate delle pattuglie della polizia nei posti di assembramento; spesso i poliziotti sono stati insultati, a volte hanno subito attacchi fisici.
Per quanto riguarda i casi positivi registrati non c’è pressoché assistenza, la maggior parte non si reca all’ospedale perché benché in teoria le cure sono gratis di fatto non è così; inoltre è la famiglia che deve prendersi cura di tutto compreso il nutrimento.
Lo stato si è mostrato non all’altezza della situazione, benché degli aiuti siano stati inviati da varie parti, cosi come dall’Unione Europea.
A tutto ciò si aggiunge l’opinione diffusa tra la gente che tutta questa situazione sia una messa in scena da parte dello stato per ottenere finanziamenti che non arrivano alla popolazione e l’opposizione del governo si è fatta paladina di questa posizione e l’ha divulgata tra la popolazione. È difficile quindi in questo momento fare delle attività di prevenzione.
Il numeri ufficiali ad oggi, parlano di 2600 casi positivo, 4 decessi (4) e 28 guariti con una progressione di un centinaio al giorno; ma queste cifre sono reali?
In una situazione di mancanza di strumenti e strategie di controllo e dove la gente si reca all’ospedale solo quando vede che non ha altra possibilità è impossibile dirlo.
Lo Stato trovandosi in questa situazione si è rivolta alle chiese, le quali sono presenti nei quartieri, la chiesa è la popolazione, quindi dovrebbe aver un impatto maggiore e godere di maggior fiducia sulla gente.
Di fatto però non dà alcun mezzo per sensibilizzare.
La Caritas ha avuto degli aiuti da parte della Caritas internazionale in vista di una sensibilizzazione per la prevenzione: condizioni igieniche, confezionamento di mascherine.
In questo periodo siamo nella fase della formazione dei volontari delle Caritas parrocchiali.
In Africa, come da molte altre parti, più che i dati scientifici e le pianificazioni perfette, ciò che conta ed ha maggior impatto sulle popolazioni è il rapporto di fiducia.
Mentre diverse parti del mondo sembrano andare verso l’uscita dal tunnel, qui pare che siamo solo agli inizi.

Padre Beniamino Gusmeroli

(foto di copertina del Centro di Cura “Saint Michel” a Bouar)