Le missioni centrafricane al tempo del Covid-19

Le missioni centrafricane al tempo del Covid-19

L’Onu ha inserito la Repubblica Centrafricana tra i paesi per i quali è prioritaria l’assistenza internazionale per far fronte all’emergenza sanitaria e alimentare. I dati ufficiali parlano di soli 14 casi confermati ma i missionari betharramiti presenti sul territorio riferiscono la mancanza di tamponi nel Paese per cui risulta impossibile avere una panoramica realistica degli ammalati. Nelle scorse settimane il governo ha emesso direttive per limitare assembramenti di persone, ha chiuso gli uffici e le scuole; anche le chiese sono state chiuse al pubblico e le celebrazioni limitate a 15 persone. Ciononostante la Chiesa centrafricana è subito scesa in campo per combattere il pericolo della diffusione del virus: la Caritas di Bouar, per esempio, dall’inizio del mese di aprile ha iniziato a visitare le parrocchie della diocesi incontrando i membri dei comitati parrocchiali, i parroci e alcuni rappresentanti dei movimenti. In questi incontri, grazie anche a opuscoli e poster appositi, si è cercato di sensibilizzare la popolazione e di dare informazioni chiare sul virus, sulla sua diffusione nel mondo e in Africa, spiegando le misure da adottare per limitare la diffusione della pandemia, le cure e le difficoltà del trattamento in Centrafrica. A ogni parrocchia la Caritas di Bouar ha poi distribuito pacchi alimentari e dispositivi igienici e di protezione come guanti, mascherine, sapone e candeggina. Almeno nelle città e nei villaggi più grandi è stato deciso di fare un censimento per identificare gli anziani, i malati di lunga durata, le persone con disabilità gravi e le famiglie più povere: nel caso in cui l’epidemia colpisca queste aree, i dati consentiranno di monitorare le persone vulnerabili, di indirizzarle alle strutture sanitarie in caso di malattia, di seguirle a casa, di curarle e dar loro da mangiare. «La gente ha un po’ di paura – dice padre Tiziano Pozzi da Niem – soprattutto perché ascolta la radio. Molti altri invece chiedono: perché dobbiamo lavarci tante volte le mani se non abbiamo niente da mangiare? Le direttive ci sono ma non vengono rispettate; il mercato è sempre strapieno così come il trasporto pubblico che sarebbe soggetto a restrizioni e invece si continua ad andare e venire senza problemi a Bouar». Gli fa eco fratel Angelo Sala, direttore del Centro di cura “Saint Michel” a Bouar: «La gente sostiene che è la “malattia dei bianchi” o meglio dei cattolici perché il primo caso accertato è stato quello di un missionario rientrato dall’Italia nella sua missione a Mabiki, nel sud ovest del Paese. Per ora la situazione a Bouar è tranquilla, non ci sono casi accertati ma non abbiamo a disposizione alcun tipo di test…».
Anche padre Arsene Noba, parroco della missione “Notre Dame de Fatima” a Bouar, conferma la situazione, sottolineando che, a fatica si sta cercando di far rispettare le norme alla popolazione. Inoltre conferma che tutte le scuole situati nei villaggi della savana, e sostenuta dal progetto delle adozioni scolastiche a distanza, sono state chiuse immediatamente il giorno successivo all’ordinanza governativa. “Come parrocchia – continua padre Noba –  siamo impegnati nella sensibilizzazione, al momento qui la situazione non è critica, ma si potrebbe aggravare se non vengono prese decisioni volte a chiudere le frontiere con gli altri paesi e sopratutto se parte della popolazione non rispetta i provvedimenti emessi”.
Da Bimbo, alle porte della capitale Bangui, padre Beniamino Gusmeroli conferma che «la popolazione è informata via radio e viene sensibilizzata sulle norme di prevenzione. Noi celebriamo la messa in casa la domenica con una quindicina di persone prese ogni volta dai vari gruppi parrocchiali. Ogni giovedì c’è l’esposizione de santissimo Sacramento in una cappella di quartiere e in questa occasione viene data la possibilità dell’adorazione personale».
La speranza è che il virus non dilaghi in Centrafrica – dove si contano solo 
tre ventilatori polmonari nell’intero territorio: il Paese non sarebbe assolutamente in grado di gestire un’emergenza di tale portata.