Volontariato é: Il cuore “rubato” di Emilia

Volontariato é: Il cuore “rubato” di Emilia

Per la rubrica “Volontariato è…” lasciamo la parola a Emilia Duca di Morbegno, amica storica delle missioni betharramite, che in passato ha vissuto un periodo di volontariato in India.

Oggi Emilia ci porta in Thailandia raccontandoci la sua estate all’Holy Family Catholic Center.

Nella seconda metà di marzo ero in Vietnam a fare visita a padre Yesudas Kuttappassery che anni prima ho conosciuto in India. Proprio in quei giorni si trovavano nella comunità anche i padri Alberto Pensa Albert Sa-at. È stato in quell’occasione che padre Alberto mi ha invitato all’Holy Family Catholic Center nel nord della Thailandia: ho accolto il suo invito con molto piacere e nel mese di luglio sono partira per la cosiddetta terra del sorriso.
Meraviglia! Ecco la prima parola che mi è uscita nel momento in cui sono arrivata alla missione: sono rimasta proprio meravigliata dall’accoglienza e dall’apertura verso lo straniero da parte di tutti i piccoli ospiti. Il Centro Holy Family oggi accoglie circa 150 persone tra bambini e ragazze, oltre a un altro piccolo gruppo di giovani che organizzano le giornate e guidano i bimbi nella quotidianità.
Il Centro è aperto, letteralmente: non c’è nessun cancello e nessuna recinzione che limita il passaggio o l’ingresso; l’area è delimitata semplicemente da una siepe fiorita e ben curata… Un bel segno di accoglienza.
Inoltre è tutto in perfetto ordine: le giornate sono scandite da orari precisi e ognuno sa cosa deve fare.
Ho potuto passare del tempo con Noy, sarta e anima di Bankonthip, la scuola di taglio e cucita sorta all’interno del Centro. Ho constatato la preparazione delle ragazze, la loro precisione, minuziosità e abilità nei lavori di ricamo.
Noy segue le ragazze quotidianamente, le guida con costanza, serenità, pazienza e competenza: è una presenza silenziosa ma importantissima.
Anche il modo in cui i padri gestiscono la missione mi ha colpito: padre Alberto, in particolare, ascolta tutti con pazienza e ha un affetto amorevole verso i più piccoli; i bimbi gli vogliono un bene speciale come se fosse un papà…
Insieme ai missionari ho visitato alcuni villaggi delle montagne dove vive l’etnia akha: le loro abitazioni sono ancora realizzate su palafitte e interamente in legno. È come fare un salto indietro nella storia di cinquant’anni… In questi luoghi così isolati il rumore più forte è il verso delle cicale; tutto intorno ci sono risaie e boschi che portano con sé solo pace e colore.
Ho vissuto 25 giorni con il cuore gonfio di amore per tutti i bambini e le ragazze; ho avuto solo qualche problema di comunicazione. La maggioranza delle persone parla esclusivamente il thai e faticavamo a capirci; ma dopo solo due giorni questo problema (che all’inizio sembra insormontabile) è venuto meno: i più piccoli mi hanno preso per mano e mi hanno accompagnato in questa grande famiglia in cui sembra di vivere da sempre.
Negli ultimi giorni mi sono spostata a Chiang Mai dove ho avuto modo di incontrare padre Ugo Donini e ho visto una realtà completamente diversa rispetto al Centro Holy Family. Poco prima del ritorno in Italia, infine, ho rivisto padre Carlo Luzzi a Bangkok e alcuni giovani seminaristi conosciuti nel mio viaggio in India che ora studiano nel seminario di Sampran.
Durante quest’estate, il mio cuore ha dovuto farsi grande per poter dare spazio a tutte le persone incontrate, piccole e grandi: ognuna di loro per me oggi è speciale; ognuna di loro mi ha rubato un pezzo del mio cuore.