Volontariato é: Tiziana “Un’esperienza di crescita” (II° parte)

Volontariato é: Tiziana “Un’esperienza di crescita” (II° parte)

Ecco la seconda parte del diario di Tiziana, scritto durante la sua esperienza al Holy Family Catholic Centre di Ban Pong nel nord della Thailandia.

 

Pensieri di un nuovo giorno
Prima di partire per questa avventura, mi sono informata sulla missione.
Mi è stato detto che era un centro che si autogestisce: sul momento non mi era ben chiaro questo concetto, ma oggi non posso non notare il lavoro di squadra che vige qui, dai più piccoli ai più grandi. Le ragazze che lavorano al centro si occupano delle gestione della struttura e dell’educazione dei più piccoli. Non fanno orario da ufficio ma sono sempre occupate, dall’alba al tramonto. In particolare sono rimasta affascinata da Kin , una ragazza di appena 19 anni, ma già una grande donna.
La sua giornata inizia alle 5 di mattina quando prepara i più piccoli per la scuola; poi lavora tutto il giorno in sartoria e alla sera si occupa ancora dei bambini.Lei come le altre nove ragazze sono un punto di riferimento per i piccoli: insegnano a essere gentili con il prossimo e ad essere felici di quello che si ha. Sono delle madri per questi bambini, capaci di farsi in quattro per non far mancare nulla a nessuno. Le ammiro e invidio la loro forza di volontà, la fede incrollabile e la capacità di prendersi cura del prossimo con amore.

 

Ritorno  alle origini.
Sabato mattina ho seguito padre Alberto Pensa nella sua visita ai villaggi della tribù akha sulle montagne intorno a Chiang Rai.
Lo scopo principale era quello di celebrare delle messe nei cimiteri dei villaggi perché novembre come in tutto il mondo è il mese durante il quale si ricordano i propri defunti.
È stata un esperienza unica: poter vedere come questo popolo, proveniente originariamente dalla Cina, si è adattato a vivere, isolato dalle strade principali ma ancora capace di sopravvivere e auto sostenersi.
La loro attività principale è l’agricoltura, con la quale riescono ad assicurare cibo alle numerose famiglie del villaggio e con la vendita dei prodotti hanno l’opportunità di comprare beni ormai di uso comune, come televisione, motorini e macchine. Il progresso sta raggiungendo anche queste zone isolate ed è strano vedere le case costruite in legno e paglia con parcheggiate a fianco grandi macchine.
Al nostro arrivo è stata allestita una grande cena in casa di una famiglia e con altri invitati dal villaggio. L’arrivo di padre Pensa – una volta ogni 3 mesi circa – è una grande festa, poiché nessuno ha un sacerdote fisso nella propria comunità.
Passare la prima sera in questo villaggio è stato un po’ come tornare indietro nel tempo: i bambini che giocano indisturbati per le strade, senza il pericolo del traffico; le donne impegnate in cucina tra una chiacchiera e una risata, gli anziani seduti per terra a gustare il cibo e anche qualche bicchiere di birra casalinga.

 

Mi sono sentita a mio agio: tutti salutano, stringono la mano e regalano sorrisi. Nessuno mi ha guardato con occhi diffidenti, al massimo con un po’ di curiosità. Queste sono le famiglie dalle quali provengono i bambini del Centro. Grazie a questa visita ora capisco da dove proviene la loro semplicità e allegria.
Durante la visita al villaggio mi è stato indicato da padre Pensa un signore affetto da una malattia psichica. Al villaggio lo chiamano ironicamente “il saggio”. E’ un uomo che non può occuparsi di se stesso e perciò la porta di ogni casa per lui è sempre aperta per cibo, acqua o un po’ di compagnia. Nel paese da cui vengo c’è un caso simile: un signore di una certa età, conosciuto da tutti, gira per il paese cercando di scambiare due parole. Nonostante non faccia nulla di male, però, nessuno osa aprire la porta di casa propria per un pranzo insieme o un caffè. Si ha paura di cosa potrebbe succedere, invece qui, tra le montagne thailandesi, non si teme l’incontro con l’altro.
Mi vengono in mente le parole Noy di questi giorni: “Vorrei poter portare l’orologio indietro nel tempo, quando si viveva ancora in pace in mezzo alla natura”.
Dopo questa esperienza un pò lo vorrei anch’io.
Ra-tri-so-wa, (buona notte!)

 

 

Sentirsi a casa
Sono ormai entrata nella routine del centro, le ragazze più grandi provano a parlarmi in inglese senza timore, le aiuto a piegare le coperte appena lavate, lavoriamo l’orto e nei momenti di pausa facciamo merenda con un ananas appena colto.
Appena i bambini tornano da scuola c’è il momento della doccia: consiste in grandi lavandini pieni di acqua fredda, con molte bacinelle galleggianti. Insieme alle altre ragazze riempiamo le bacinelle e le rovesciamo sulle bambine divertite, sapendo che le aspetta una doccia letteralmente congelata: uno shampoo veloce, sapone su tutto il corpo e via si risciacqua. Riusciamo a fare la doccia a più di 30 bambine in meno di 20 minuti. Che efficienza! Che Staff!
Questo si ripete anche la mattina molto pesto. E anche così che crescono i bambini del centro, e come dice padre Alberto : “Bisogna farsi gli anticorpi!” E devo dire che funziona.

 

Ultimo Giorno
Stanotte mi giravo e rigiravo nel letto ripensando a questa mia esperienza e mi si stringe il cuore a doverla lasciare e partire.
Sono sicura che lascerò un pezzetto del mio cuore con questi bambini e ragazze; in questi giorni sono diventati un po’ la mia famiglia e amiche. Abbiamo trascorso giornate intere insieme a ridere e giocare senza stancarci l’uno con gli altri.
Qui si vive in sintonia con gli altri e con quello che si ha a disposizione, non si sa cosa sia l’ansia, la fretta o lo stress.
Ho vissuto questi giorni con il cuore leggero e la mente libera.
Forse posso dire di avere lasciato qualcosa a questi ragazzi, ormai le ragazze sono diventate più coraggiose nel parlare inglese, imparando parole nuove tutti i giorni.
Ieri sera siamo andate fuori a cena e la conversazione è stata tutta in inglese.
Non vi dico la felicità nei loro occhi nel rendersi conto di essere migliorate molto.
I bambini sono ancora piccoli per poter parlare fluentemente ma ormai salutano con un “Good Morning” la mattina presto, e un “Good night” la sera prima di dormire. Spero si ricorderanno di me, come io di loro.
Chissà, magari finita la mia avventura in Australia, tornerò per poter vivere un pezzetto della mia vita ancora con loro. Ringrazio padre Alberto, padre Subancha  per avermi accolto a braccia aperte e avermi sostenuto in questa mia stupenda esperienza.
Alla prossima a tutti, alla prossima Holy Family Catholic Centre!
Grazie!

Tiziana Robustelli